Il caso del capitano disperso in Valsugana

Una storia singolare ricreata attraverso il ritrovamenti di alcune lettere che testimoniano la tragica ma gloriosa scomparsa del valoroso Capitano.

Il 12 aprile 1916 l'84° Fanteria aveva conquistato Sant'Osvaldo. Passo passo, andava sgretolando la prima cinta cinta dei forti di Trento. Sant'Osvaldo, cupolina e pagoda sui fianchi del monte Panarotta, era stato preso d'assalto dai fanti del 4° e del 1° battaglione, arrampicandosi tra rocce e i ronchioni della vetta.

La sera del 15 del mese stesso, il Capitano Aiazzi-Mancini dopo alcuni scontri in Val Langanza, avendo perso diversi uomini, scelse di scendere verso Tesobbo giù a Roncegno. Comparve alla mensa stravolto con in testa un farina, alcune testimonianze riportano uno scontro diretto con il maggiore Chiari il quale aveva dato ordine di restare in trincea. il giorno successivo, alle primissime ore del mattino, il Capitano con la sua compagnia si schiera presso la chiesetta di Sant'Osvaldo di rincalzo al 32° Fanteria che difendeva la vetta assieme al 4° battaglione del 84° Fanteria. 
Alle 6.30 il nemico sferrò un attacco devastante, inizialmente cadde una pioggia di 152 shrapnels, e dopo due ore di questo inferno, al suono delle trombe, attaccò una forza quattordici volte superiore alle compagnie italiane a difesa del Sant'Osvaldo (Bollettino del Comando Supremo del 18 aprile 1916).

Le compagnie di fronte (32° Fanteria) e le compagnie ai fianchi (84° Fanteria) non ressero l'impatto. La compagnia d'Aiazzi, la prima, si trovava in seconda linea come già detto di rincalzo presso la Cappellina di Sant'Osvaldo (foto sotto ritrovata in una lettera). Schierato secondo gli ordini del maggiore Chiari. L'onda nemica arrivò presto anche da lui alle sue posizioni e mentre molti si ritiravano lui gridò alla sua compagnia: "Si resiste!...Si regge!...Si combatte e si muore!!!Ma non si scappa!!"
Tale fu la confusione che il Capitano Zannini del 19° Artiglieria dovette interrompere  il fuoco su Sant'Osvaldo tale era la confusione. Il nemico aveva sfondato tutte le linee e non si distinguevano più le posizioni italiane da quelle austriache.

 

Il soldato Landi Aurelio, in una testimonianza del 17.4.1916 scrive:
"Mi faccio coraggio sebbene con le lacrime agli occhi a raccontarle qualcosa del mio bravo Capitano...

Eravamo d'allora arrivati in trincea ieri mattino quando si ebbe un terribile contrattacco con forze molto superiori alle nostre. Finchè potemmo tenemmo il nostro posto, ma quando ci si rese conto che eravamo circondati ci ritirammo sulla nostra seconda trincea a pochi metri. Eravamo assieme, ed egli mi ordinò di ritirarmi per aspettarlo nel posto avanzato. Già la resistenza cedeva, e non nascondo che furono momenti di completa confusione, tanta da non riconoscere più neppure gli Italiani. Ci ritirammo in un trincerone, il mio primo pensiero fu per il mio Capitano, perchè proprio mi premeva più di me stesso; ma da ieri fino a questa mattina non ho più saputo nulla e per questo credo sia mio dovere farlo presente..."

L'ufficiale Orazio da Borgo Valsugana il 18.4.1916 scrive al fratello del Capitano Piero:

"Carissimo Mario,

scrivo a te, e faccio appello alla tua energia ed alla tua forza d'animo, per darti una non lieta notizia: Piero è scomparso nell'ultima battaglia e sembra sia ferito e prigioniero.

Non sto a dirti quali angosce io abbia provato prima di scriverti; e quanto affannosamente abbia cercato notizie più precise, ma non è stato possibile e mi sono deciso ad informati perchè tu non sappia da qualche canonico annuncio la scomparsa del caro Piero. La notte dal 15 al 16 corrente la compagnia di Piero è salita sul monte S. Osvaldo per dare il cambio al 32° Fanteria e la mattina alle 9 gli austriaci hanno incominciato un violentissimo attacco riuscendo a sfondare la linea del 32° e ad aggirare la prima compagnia del 84°. Allora Piero ha dato ordine che la compagnia restisse fino a che c'era un uomo ed una cartuccia, e quando sono rimasti in sette o otto ha detto:
-Chi vuole si salvi, io non mi arrendo- ed ha continuato a sparare col moschetto avendo il nemico a due o tre metri di distanza.

Dopo nessuno l'ha più visto, la posizione fu abbandonata ed i resti della prima compagnia, setto o otto in tutto, tornarono sparpagliati a Roncegno. C'è solo un soldato che pare averlo veduto cadere ferito, e questa sarebbe la sua salvezza perchè gli austriaci cercano di aver vivi gli ufficiali, in tutti i modi. Tutta la notte sono stato ad interrogare feriti per aver notizie di lui, ma non ho potuto avere che queste, e il suo furiere (ferito) mi ha dato queste cartoline che Piero aveva scritto prima di andare a dare il cambio e che aveva consegnate a lui per impostarle. (probabilmente le ha allegate alla lettera spedita, infatti non presentano alcun timbro)

 

L'opinione generale della brigata è che lo abbiano preso vivo e fatto prigioniero e non ti so dire quanta costernazione abbia prodotta questa disgrazia. Ho visto molti ufficiali piangere come bambini e non ti parlo dei suoi soldati rimasti che ho interrogato ad uno ad uno.

...Scusa, caro Mario, se non ti conforto in nessun modo, ma ho pianto tutte le mie lacrime e sono stordito dal dispiacere.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Ti aspetto e ti abbraccio. Affez. Orazio"

A questo punto per circa una settimana o due non si ebbe nessuna notizia e si continuavano a fare supposizioni sulle sorti del Capitano. Fino a circa alla fine di aprile quando il fratello iniziò a ricevere altre lettere dal fronte e dai compagni di Piero. Dall'albergo Tre Corone di Feltre l'ufficiale ed amico di famiglia Orazio scrive:

Carissimo Mario, 
prima ancora di ricevere il tuo telegramma ti avevo scritto da Borgo Valsugana....purtroppo le notizie sono sempre più precise e non lasciano ormai dubbio sulla eroica fine di Piero.

Ho sperato ancora per qualche giorno che fosse ferito e prigioniero, oggi non mi è più possibile sperare c'è chi ha veduto colpito da una pallottola che gli è entrata sotto l'occhio sinistro e gli ha traversato il cranio. Su quel maledetto S.Osvaldo era salito alla mezzanotte del giorno 15 per dare il cambio ad un altro reparto e l'avanzata austriaca ha urtato quasi subito contro la trincea che era difesa dalla sua compagnia. Che urto, Mario mio! Il terreno era stato vangato metro per metro dalle artiglierie nemiche, con un bombardamento che fa impallidire quelle del Carso, e sotto quella grandine, e con il nemico che avanzava, la compagnia di Piero era rimasta impavida. Ma un altro reparto, di quelli che fiancheggiavano, non potè resistere e cominciò a ripiegare, in modo che Piero fu preso quasi alle spalle e si trovò nella condizione terribile di resistere fino alla morte o ritirarsi.

Non pensò neppure alla fuga; continuò a difendere la trincea con un accanimento che esaltava i soldati; alcuni ufficiali che lo hanno veduto mi dicevano che mai ebbero veduto tanto eroismo. Pian piano gli cadevano attorno i suoi, e quando non ne aveva che setto o otto i soldati lo supplicarono di ritirarsi ed egli rispose:
-Voi altri andate pure, salvatevi, io resto e non mi arrendo!-   Non si è arreso, no, e lo hanno ucciso! Ma fino a che gli austriaci erano sul bordo della trincea ha continuato a sparare col suo moschetto, e chi lo ha veduto dice che era di una calma spaventosa. Poi gli austriaci conquistarono la posizione, ed anche il corpo di lui rimase in loro possesso.

Ti lascio immaginare quali atroci angosce abbia passato io quella notte; da ogni  ferito cercavo di saper qualche cosa, e tutti dicevano che era scomparso ed altro non sapevano, il suo furiere , ferito, il suo tenente pure ferito, e pur essendo convinti che fosse morto non potevano dir nulla di preciso.

Soltanto due giorni dopo dal sottotenente che lo ha visto cadere e da un altro ufficiale del 32° che lo ha veduto già morto abbiamo avuto la terribile certezza. Ecco tutto Mario mio, ecco tutto ciò che posso dirti di lui. Se la posizione fosse rimasta ancora a noi ti giuro che il suo corpo lo avremmo ripreso, ma come fare se gli altri l'hanno ripreso? Non sto a dirti la costernazione della brigata,.......
....Verrai tu a Borgo? Potresti così parlare con quelli che erano li con lui, e saper così altre notizie, veder dove è caduto. Ti aspetto. 
E con affetto di un fratello piango con te e ti abbraccio
Orazio"  

Deduco da questa testimonianza ritrovata che il fratello scrisse al sottotenente testimone diretto dell'accaduto e ricevette la risposta a fine maggio:


"Zona di Guerra, 14-5-916
Mio caro,
con l'immagine di tuo fratello innanzi agli occhi, col cuore triste e con l'animo esasperato di dolore mi accingo a raccontarti ciò che non avrei dovuto, per non addolorarti maggiormente, per non ricordare a te ed alla tua famiglia la prematura morte del vostro povero Piero.
Tu vuoi che ti dica tutto e me lo chiedi in modo tale che io non posso proprio rifiutarmi; in questo momento ricevo la tua, ed ecco ti rispondo subito.

Il giorno 16 aprile alle ore 2 salivo sul S.Osvaldo, alle ore 5 la mia compagnia dava il cambio alla 16° (forse) del 84° Fanteria. Verso le 6 e mezza un'intensa azione di artiglieria avversaria batteva efficacemente le nostre posizioni, il tremendo fuoco di artiglieria durò quasi 3 ore e mezza su di noi, poscia gli austriaci allungavano il tiro, e davano subito l'assalto al famoso monte in forze superiori alle nostre. Sfondavano la linea e ci toccò retrocedere: gli austriaci venivano avanti cercando di aggirarci.
Io ero ancora in trincea, sentivo le urla dei tedeschi, sono uscito fuori, mi sono sentito chiamare da un capitano, mio conoscente, avevo gli austriaci alle spalle lui era ferito. Prima di scendere al posto di medicazione, mi salvava facendomi abbandonare quel posto. Un po' indietro vedevo tuo fratello ed un aspirante. Ho chiesto a tuo fratello: 
-Capitano teniamo la posizione?- lui rispose - Si,si aiuta gli uomini a sinistra.- Ho eseguito l'ordine ed insieme a lui mi recavo  alla sinistra della chiesetta di S. Osvaldo. Ad un passo e quasi al centro del muro laterale di sinistra di quella chiesa tutta rovinata dalle cannonate, ci lasciava la vita il povero Capitano... tuo fratello!....
Una pallottola maledetta lo colpiva alla bocca, gli traversava il cranio e nello stesso tempo ammazzava un aspirante dietro di lui, io ero spostato a sinistra altrimenti....
Tuo fratello e l'aspirante sono caduti con la faccia rivolta al nemico senza aver nemmeno il tempo di dire: Mamma!... 
Terrorizzato mi sono avvicinato a tuo fratello. Il mio primo pensiero è stato quello di salvare se ferito il povero Capitano, e te lo giuro su quello che ho di più caro l'avrei fatto a qualsiasi costo ma....tuo fratello era già morto, aveva gli occhi vitrei, l'elmetto che portava, era pieno di sangue. Mi sono chinato su di lui per accertarmi che fosse morto e mi sono fermato un istante a guardarlo.
Rialzandomi mi vedo a cinque o sei passi gli austriaci col fucile e le sciabole baionette in canna. Anzichè farmi fare prigioniero ho tentato di scappare, mi sono precipitato dalla montagna raggiungendo le retrovie. 
....Perdonami se la mia ti recherà maggiore dolore, ma non ho saputo aver modo migliore per raccontarti tutto senza tanto colpire il animo; accetta le mie condoglianze sentitissime e se potrò esserti utile in qualche cosa te ne prego non risparmiarmene.
Unendomi al tuo dolore ti bacio affettuosamente
Tuo s.tenente Napoli angelo"


Giovane brillante, al comando dell’84° divisione di fanteria si era già distinto per aver guidato i suoi uomini alla conquista del monte Salubio, nell’agosto del 1915. Il 16 aprile del 1916, come si legge nella motivazione del conferimento della decorazione al valore, Piero “respinta sdegnosamente l’ingiunzione di arrendersi prigioniero – restava, solo, a difendere strenuamente la posizione affidatagli, finchè cadde ferito a morte da una palla in faccia il 16 aprile sul Monte Sant’Osvaldo, nel Trentino, dove dal nemico fu sepolto con tutti gli onori militari – mentre il nostro Comando lo proponeva per la medaglia d’argento al valore. Così – continua la motivazione – dava nobilmente alla grandezza dell’Italia i suoi entusiasmi, il suo brillantissimo ingegno, il suo cuore gonfio di generosità e fin’anco la salma, che restò in terra inospitale”.

Pietro Aiazzi Mancini, di Luigi, nato a Barberino di Mugello il 18.12.1884
Capitano di complemento 84° reg. fanteria
Caduto in Val Brenta in combattimento il 16 aprile 1916
Medaglia d'argento al valore militare

Successivamente anche il cappellano militare del 84° Fanteria ed altri amici scrissero per far sapere la loro vicinanza al fratello non potendo però colmare il vuoto che lasciava Piero nella sua famiglia.
Della salma del Capitano Piero malgrado le ricerche non si seppe più nulla. Nel 1920, quando ancora l'identificazione poteva essere relativamente facile, all'insaputa della famiglia, furono esumati i cadaveri della regione di S. Osvaldo e portati al cimitero di Novaredo. Passando gli anni le ricerche erano ormai abbandonate.
Nella primavera del 1930 con l'assunzione a capo dell'Ufficio Onoranze alle Salme dei Caduti in Guerra del Gen. Foracovi si ripresero le ricerche e per una serie fortuita di casi si riuscì a stabilire che in alcuni loculi poteva esserci la salma del Capitano. Accurati esami dei teschi all'interno dei loculi prescelti aiutarono ad identificare i resti. Al povero Piero mancavano due molari inferiori e si riconosceva una carie dentaria che il Capitano aveva al secondo incisivo superiore di sinistra. 
La famiglia volle però fare altri accertamenti prima di firmare il verbale per il riconoscimento della salma. A fatto compiuto le ossa furono tumulate in un loculo del grande ossario che Trento stava erigendo nello stesso anno per i caduti in terra trentina (finito poi nel 1933).

La parte finale dell'elogio funebre a pag. 66 della relazione ufficiale dal titolo La brigata Venezia nella guerra italo-austriaca 1915-1918:
"....Purtroppo quando più bella ti sorrideva la vita quando più calda era la tua fede su quella altura alla cui conquista avevi brillantemente cooperato, dovevi cadere. Il vuoto che tu lasciasti fu grande: il dolore per la tua perdita immenso.
Perduti quasi tutti i tuoi uomini respinti e travolti dal nemico gli altri reparti che col tuo difendevano il S. Osvaldo, tu restasti con pochi fidi. Al nemico preponderante che ti intimava la resa, rispondesti a colpi di moschetto, deciso a difendere fino all'ultimo quella posizione. Colpito alla testa con la fronte rivolta al nemico ed il moschetto ancora fumante stretto fra le mani, cadesti così come cade un albero gigante schiantato alla base dalla furia distruggitrice di un torrente in piena.
Così alla Patria che tanto amasti offristi il sacrificio della tua vita".



 

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