L'impatto economico dell'influenza spagnola

Prima di parlare di influenza spagnola, di questi tempi, mi sembrano doverose un paio di premesse: 
In alcun caso possiamo paragonare questa influenza con l'attuale infezione polmonare che si sta diffondendo, né per conseguenze cliniche né per quelle economiche.
E' chiaro che ci troviamo in un contesto storico completamente diverso dove tecnologia e globalizzazione sono in massima espansione. 
Altra cosa sulla quale fare chiarezza è che non ci sono molti studi riguardanti l'epidemia che colpì l'intero globo tra il 1918 ed il 1920 probabilmente anche per mancanza di dati scientifici. Di conseguenza anche l'impatto economico è poco noto.

Tra il 1918 e il 1920, la spagnola, aveva causato circa 18 milioni di morti. In due anni l'influenza era stata tanto letale quanto i quattro anni di guerra appena trascorsi, che avevano fatto 20 milioni di morti, ma, nonostante il grande impatto mondiale, attualmente nei volumi di storia questa pandemia viene appena citata se non del tutto ignorata.

Secondo i dati del Maddison Project, basato sui lavori dell’economista Angus Maddison che ha ricalcolato i Pil del passato, il Pil procapite dell’Europa occidentale era calato del 3,38% nel 1918 e del 5,86% nel 1919, per poi risalire nel 1920 del 4%. In due anni cioè il Pil procapite era crollato del 7,78%. Su questa contrazione, oltre ad altri fattori come l’incapacità di adattare l’economia di guerra alla pace o la disorganizzazione commerciale, quanto ha pesato dunque l’influenza spagnola? Nessuno studio fornisce una stima esatta. I dati mancano e “isolare” l’effetto pandemico è molto complesso.

Si verificò una forte crisi della domanda e dell'offerta, la spagnola, colpendo individui in età adulta e con il sistema immunitario solido, uccise sia mano d’opera sia i consumatori, bloccando al tempo stesso i servizi, la produzione dei beni e il consumo di questi stessi beni. Nei paesi più toccati del conflitto mondiale come Francia, Belgio, Italia, Germania, dove i disastri della guerra avevano già provocato una grave crisi economica, gli effetti dell’epidemia potevano in effetti passare quasi inosservati. Ma non nei paesi meno direttamente toccati dal conflitto, come gli Stati Uniti. La città di Filadelfia per esempio perse lo 0,75% della sua popolazione e gli effetti sull’economia furono brutali. Eppure i dati del Maddison Project non identificano alcuna recessione legata all’influenza spagnola negli Stati Uniti. In questo caso la crisi del 1920-21 negli Usa è considerata come la conseguenza di una riorganizzazione dell’economia e della finanza inevitabile dopo la guerra.

M. Karlsson, T. Nilsson e S. Pichler nel 2003 hanno ricercato e studiato i possibili effetti di questa influenza sull'economia svedese. Il caso della Svezia è molto interessante poiché, come ben sabbiamo, questo paese è rimasto neutrale durante il Primo conflitto. Questo stato non avrebbe dovuto avere alcun impatto sulla forza lavoro del paese. In Svezia ci sono stato alcune regioni con tasso di mortalità elevatissimo. È stato dunque possibile esaminarne gli effetti anche regionalmente. Dallo studio è stato possibile dedurre che: i redditi del capitale sono stati gravemente penalizzati e i redditi dei più ricchi sono diminuiti del 5% durante la pandemia e del 6% subito dopo. Infatti, sempre secondo lo studio citato, in Svezia, la povertà è esplosa soprattutto dopo l'epidemia a partire dal 1920. Si stima che per ogni persona deceduta di influenza almeno altre quattro hanno chiesto assistenza presso i “poohouses" (case dei poveri). Una conseguenza spiegata del fatto che molte famiglie delle vittime si sono trovate senza risorse, ma anche per via dell’impoverimento legato all'abbassamento dei redditi. 



La crisi del 1918 aveva distrutto dei posti di lavoro ed una domanda resta ancora senza risposta: decimando parte della forza lavoro disponibile, l’influenza non ha determinato un aumento dei salari sul lungo termine? 
Nel 2006 si è cercata la risposta, e secondo le conclusioni dello studio di E. Brainerd e M. Siegler,  grazie al confronto delle evoluzioni salariali in diversi Stati dell'America centrale, si è dimostrato che quelli più colpiti dalla pandemia avevano registrato aumenti salariali più alti degli Stati meno colpiti. Questa conclusione è messa in discussione dallo studio svedese che, oltre a non registrare alcun impatto positivo sul reddito da lavoro, definisce quello negativo. La riorganizzazione del lavoro nel paese portò un aumento del tasso di occupazione di donne e minori abbassando così i salari in alcuni settori.
In pratica, come afferma Thomas Garrett, “la maggior parte dei dati suggeriscono che gli effetti economici dell’influenza del 1918 sono stati a breve termine”, con un impatto molto negativo sui servizi e gli svaghi. Ma gli effetti a lungo termine, legati al calo della forza lavoro disponibile, restano vaghi. 



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