Dal sogno di internet alla spazzatura digitale: il mio pensiero da editore e appassionato di storia
Questa mattina mi sono imbattuto in un articolo molto interessante su Fanpage che parlava della cosiddetta “morte di internet”: meme assurdi, intelligenza artificiale che produce contenuti a catena, spam digitale, perdita progressiva del valore umano dei testi, della storia, della memoria.
Mi sono posto una serie di riflessioni, da appassionato di storia e come parte del progetto editoriale di Ravizza Editore, perché quello che facciamo, noi che crediamo nella storia ben documentata, nella ricerca, nell’accuratezza, rischia davvero di essere fagocitato da questa “spazzatura digitale”.
Ho cominciato sui social quasi dieci anni fa, con la convinzione che l’algoritmo premiasse la qualità: articoli ben scritti, fonti verificate, idee storiche coerenti, racconto che rispettasse i tempi e il contesto. Nel tempo però la dinamica è cambiata: ciò che “funziona” oggi è spesso l’impatto immediato, la provocazione, la superficialità, la confusione. Non serve che qualcosa sia vero o utile: basta che urli abbastanza forte, che catturi scroll oppure click, anche se con poco senso o addirittura inventato!
Chiaramente è sotto gli occhi di tutti esistono già decine, centinaia di siti di news gestiti perlopiù da AI, o recensioni false scritte sempre con strumenti generativi, oppure meme che deformano storie e figure storiche in maniera grottesca, provo un senso di allarme. Perché ciò che è vero, ciò che è documentato, rischia nella massa di diventare invisibile.
Mi prefisso come editore di fare le cose ben diversamente! Noi, e ci aggiungo i numerosi sostenitori, non trattiamo la storia come un corpo astratto che ci aiuti ad avere più click: collaboriamo con autori, ricercatori, testimoni, archivisti; ogni progetto passa per una verifica, per una documentazione rigorosa.
E qui entra in gioco anche un altro elemento che non possiamo sottovalutare: il “like”. Dal punto di vista psicologico non è un gesto innocuo, ma un vero e proprio meccanismo di gratificazione che attiva nel cervello le stesse aree della ricompensa. Una piccola scarica di dopamina che ci fa sentire visti, approvati, validati. Il problema nasce quando questo diventa la misura principale del valore di ciò che produciamo o condividiamo: non conta più se un contenuto è corretto, documentato o utile, conta solo se ottiene reazioni. È così che la qualità lascia spazio alla quantità, e la storia, come ogni altro sapere, rischia di piegarsi al culto dell’approvazione immediata invece che al rispetto della verità.
Noi quindi non crediamo che basti la fama sociale, o il click: crediamo nel racconto via fonti (documenti, memorie, fotografie, interviste), nel contesto, nella onestà intellettuale e storica, nel rispetto anche di chi ha vissuto quei periodi.
Se la tendenza che l’articolo, inizialmente citato, denuncia prosegue, possono emergere danni seri, specialmente per chi come me ama la storia:
Quando guardo a ciò che sta accadendo online, non posso fare a meno di pensare a quanto tutto questo rappresenti una vera e propria distorsione del passato. Meme, immagini false, ricostruzioni sensazionaliste e fatti storici ridotti a slogan non sono soltanto un fenomeno grottesco: sono un pericolo concreto. Perché se la storia viene trasformata in caricatura, quello che perdiamo non è soltanto la qualità del racconto, ma la memoria stessa e, con essa, la nostra identità collettiva.
Accanto a questo, si diffonde quello che definirei un vero e proprio spam intellettuale. Testi copiati, generati in serie, privi di qualsiasi originalità, saturano il web come rumore di fondo. Una massa di parole che occupa spazio ma che non insegna nulla, non provoca riflessione, non arricchisce chi legge. È un flusso continuo che assorda e confonde, ma non costruisce.
Il risultato è che cresce inevitabilmente una sfiducia nelle fonti (quelle alla portata di tutti ben si intende che spesso non sono fonti dirette). Quando ogni contenuto sembra “di parte”, non verificato o creato con l’unico obiettivo di attirare click, il rischio è che il pubblico finisca per non credere più a nulla. Questo scetticismo generalizzato diventa velenoso: colpisce non solo chi produce materiale scadente, ma anche chi lavora con serietà e dedizione, chi cerca davvero di mantenere viva la verità storica. Questo discorso può essere chiaramente poi utilizzato in qualsiasi ambito di scientifico o di attualità, lo abbiamo ben visto.
La conseguenza forse più ingiusta è la marginalizzazione degli autori veri o studiosi competenti che siano. Chi dedica tempo alla ricerca, chi studia, chi scrive con cura e rispetto per le fonti rischia di restare invisibile. Non perché il suo lavoro sia meno valido, ma perché non ha i mezzi per competere con la velocità del contenuto "usa-e-getta", con il rumore del sensazionalismo!
Qui è dove interviene la mia speranza, la mia proposta di impegno personale e collettivo: Educazione alla lettura critica: l’abitudine a chiedere “qual è la fonte?”, “chi scrive?”, “quando è stato scritto?”, “da cosa è provato?”
Ogni libro o articolo storico deve esplicitare le fonti, il metodo, gli errori noti; ogni autore serio deve essere riconosciuto per competenza e affidabilità.
Usare la tecnologia si ma in modo etico. L’IA e gli algoritmi saranno sempre più presenti. Ma possono essere strumenti di aiuto. Possono servire a migliorare accessibilità, traduzioni, fruizione; non devono sostituire la cura, la riflessione, l’analisi umana e puntuale di una persona competente.
Tutto questo rumore di fondo nel web, spesso, mi fa sinceramente passare la voglia di postare sui social come facevo prima, e molti di voi lo avranno notato. Credo che il prossimo step per noi sarà quello di riuscire a distinguersi proprio per la qualità della nostra produzione sia online che cartacea e non per la quantità o per il "fragore" che riusciremo a fare sui social.
Spero che Ravizza Editore possa continuare a essere un piccolo faro: che chi ama davvero la storia, chi crede nella memoria, nella documentazione, possa trovare un porto sicuro anche in questo mare agitato dagli algoritmi.